Oggi una donna indifesa vestita di un sari dai colori squillanti ha fermato un veicolo con la punta delle dita. Può succedere solo in India. Dove persone, animali ed auto condividono lo stesso percorso preferenziale.
Salire su un risciò indiano a motore è un esperienza delirante: sfidare il caso e la fortuna per arrivare sani e salvi a destinazione è comunque preferibile ad immergersi nella calca di persone che riempiono le strade. Basta però un piccolo strattone per essere catapultati al di fuori del veicolo: in quel caso si è perduti in mezzo ad una folla senza nome. Non esistono segnali di precedenza e incroci predefiniti: qui anche io potrei cimentarmi nella guida bendato, ed esibirmi in superbe dimostrazioni sulla sella di un elefante alato.
Il divino permea l’atmosfera liquida di questo quadro ad olio che perde nitidezza nella fotografie. Suoni di clacson in lontananza.
Mi stordisco in quest’India fumante e distorta.
L’India è una grande strada contornata di vita: tutto avviene in pubblico sul bordo della grande carreggiata. E non esistono nè palazzi né case da visitare che valgano il paragone con questo flusso incessante di esistenze.
Dieci minuti in mezzo alla polvere e mi sento un rottame.
Tra i rifiuti e la sporcizia spuntano le donne in sari, belle colorate ed estremamente curate. Fiori appena colti, fresche rose, tenuta impeccabile, immuni allo scempio che le circonda, procedono a passo spedito, spavalde e protette da una schiera di sguardi che le seguono affascinati. L’India, dove gli uomini si perdono nella polvere e le donne la calpestano.
Ci si specchia nel finestrino che in realtà non esiste e si vede un passante che sorride. Invasione dei rispettivi spazi: dentro è fuori, fuori è dentro e tutto si trasforma in un’unica lunga processione senza fine.